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Approvvigionamento, talenti e sostenibilità: quali dovrebbero essere le priorità dei dipartimenti acquisti in Italia per il 2025?

Negli ultimi anni, l’approvvigionamento è diventato un motore strategico di resilienza, sostenibilità e gestione del rischio per le aziende italiane.

L’incertezza economica e geopolitica è ormai un leitmotiv consolidato del secolo corrente, caratterizzato da crisi multisettoriali e globali davanti alle quali le aziende si trovano spesso disorientate.

 

A disorientare è anche la prospettiva che il nuovo assetto globale poggi su sfide che sono destinate a essere durevoli, rendendo strutturali degli elementi di crisi che solo qualche decennio fa avremmo considerato passeggeri, frutto di congiunture sfavorevoli.

 

La volatilità dei mercati, la regionalizzazione delle catene di fornitura e l’integrazione degli algoritmi e delle AI nei processi lavorativi sono solo alcuni degli attori rispetto ai quali le aziende sono chiamate a scegliere di adottare una nuova postura, inventando strategie per contenere e gestire i rischi. Chi si occupa di procurement questo già lo sa: il mondo degli acquisti come lo si conosceva non esiste più, neanche in Italia.

 

La tecnologia come strumento   

 

Il procurement in ambito aziendale è una materia complicata, che non si limita alla selezione dei fornitori e all’acquisto del bene e servizio di cui il business necessita.

 

In uno scenario globale instabile, infatti, il controllo di ogni elemento della catena di produzione e di approvvigionamento è diventato un elemento chiave nel tentativo di contenimento dei rischi aziendali. Secondo il report di Amazon Business sullo stato dei dati di acquisto 2025, il 33% degli specialisti di procurement ritiene che le interruzioni o i ritardi nella catena di approvvigionamento siano il fattore che più probabilmente creerà difficoltà organizzative a livello aziendale nei prossimi due anni.

 

Un rischio condiviso anche da Confindustria, secondo la quale controllare l’affidabilità e la tenuta delle supply chain è più complesso per quelle imprese che, nel tempo, hanno costruito una catena del valore globale “tight”, con scarsa ridondanza dei fornitori, che sarebbero meno resilienti e più vulnerabili. Vulnerabilità che nel percepito aumenta quando il fornitore è “lontano” geograficamente e l’azienda si colloca nelle global value chains, catene globali del valore, dove l’interconnessione con altri Paesi, e non solo, rappresenta sia un valore che un pericolo, per la propagazione potenzialmente capillare di eventuali shock.

 

In Italia sono numerosi i settori produttivi inclusi nelle GVC: sempre secondo Confindustria, prima della pandemia le imprese della manifattura che intrattenevano relazioni commerciali con l’estero erano oltre 69mila, poco più del 40% di esse era coinvolto in catene globali del valore. Numeri importanti che spingono a diversificare, anche geograficamente, la rete dei fornitori. Risale a qualche settimana fa il decreto direttoriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy per la realizzazione di programmi volti a rafforzare la competitività e resilienza delle catene di approvvigionamento strategiche nel Paese con agevolazioni dal valore di 500 milioni di EUR.

 

Conterà però anche dotarsi di strumenti adeguati per tracciare la catena di fornitori già attiva. Monitorare lo stato di salute della propria supply chain è fondamentale eppure, sempre secondo il rapporto di Amazon Business, Il 18% dei senior leader e il 21% dei decision maker afferma di non disporre di sistemi per monitorare e gestire i rischi legati alle proprie catene di approvvigionamento.

 

Una mancanza che coinvolge anche le imprese italiane: secondo una ricerca dell’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano l’80% delle imprese end-user applica specifici KPI per la valutazione delle prestazioni della propria supply chain, ma solo l’11% ha un sistema di monitoraggio completo e sistematico.

 

Sempre la stessa ricerca mostra come solo il 30% delle imprese misuri un numero sufficientemente completo di KPI tecnici ed economici. Sebbene non esista un prontuario per proteggersi dai rischi diretti e indiretti, alcune best practice nei processi di procurement esistono, così come strategie da cui prendere spunto: Fastweb, per esempio, ha lanciato una piattaforma online per gestire gli acquisti interni attraverso Amazon Business, digitalizzando l’esperienza del cliente finale.

 

Gli ostacoli che chi si occupa di procurement dovrà affrontare sono inquantificabili, intanto ci si potrà rifare a standard precisi e internazionalmente riconosciuti: in questo senso i parametri ESG, la redazione di bilanci di sostenibilità e il dotarsi di una filiera sostenibile avranno un impatto anche sulla reputazione aziendale. Dall’indagine “Procurement sostenibile e decarbonizzazione” condotta da EY nel 2023, il 90% delle aziende italiane intervistate condivideva l’importanza di dotarsi di una supply chain sostenibile, di un procurement green.

 

La necessità di stare al passo con i tempi e ridurre il proprio impatto ambientale è stata recepita anche a livello comunitario, come dimostra la Direttiva UE sulla Due Diligence in materia di sostenibilità aziendale (2024/1760) che impone alle grandi imprese, dal 2027, di identificare e gestire gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente delle operazioni interne e dei fornitori.


Pubblicato originariamente su Il Sole 24 Ore.

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